CIE e il mito degli allenamenti random: attenzione alla distanza tra campo e laboratorio

by 15 Jun 2020La scienza dei maestri di zompi

Introduzione

Spesso accade che qualche teoria si affermi a un certo punto in un certo contesto culturale e rimanga fortemente radicata anche quando i fatti la contraddicano in molte situazioni. Nel mondo dello sport un classico esempio è la teoria degli allenamenti random e del Contextual Inrerference Effect.

La teoria afferma che allenare un compito alla volta (blocked practice) produce un apparente miglioramento momentaneo ma minori effetti a lungo termine, mentre allenare contemporaneamente più compiti diversi (random practice) produce un migliore apprendimento.

Si parla di variabilità tra i vari compiti. Per esempio dati 3 compiti A, B e C possono essere svolti un numero di volte ciascuno prima di passare al compito successivo (secondo lo schema AAABBBCCC) e si parla di allenamento blocked, oppure possono essere svolti in un ordine casuale (schema ABCCBAACA…) e si parla invece di allenamento random.

Il fenomeno per cui “random” produce risultati migliori nei test di ritenzione (misurazione della performance dopo un certo tempo dalla somministrazione delle sedute allenanti) e di transfer (capacità di generalizzare l’apprendimento non solo per lo specifico compito ma anche per compiti simili) rispetto a “blocked” (che invece produce migliori risultati durante il processo di acquisizione) è chiamato Contextual Interference Effect (CIE).

La ricerca chiave

Vale la pena ricordare in che modo è stata realizzata la prima ricerca sul CIE (Shea e Morgan 1979) . L’esperimento svolto dai 2 scienziati si era servito della strumentazione che appare nell’immagine qui sotto.

L’esperimento consisteva nel prendere la pallina da tennis a un segnale, con la pallina in mano buttare giù quelle barriere disposte a destra e sinistra (tipo pezzi del domino per intenderci) in una determinata sequenza indicata in un diagramma di fronte a loro nel minor tempo possibile, per poi riappoggiare la pallina nel secondo buco. Ogni determinata sequenza costituiva un compito (A, B, o C) che doveva essere volto con diverso ordine. Acquisizione, ritenzione e transfer sono stati valutati in base a velocità e precisione con cui veniva svolto il compito.

Il problema che si verificato è un classico della sperimentazione scientifica. Riprodurre il fenomeno da studiare in laboratorio facilita la misurazione ma non sempre rappresenta in modo funzionale il gesto che si fa nella realtà del campo. Compito degli scienziati è utilizzare ricerche precedenti e concetti più o meno condivisi per aumentare questa rappresentatività. Può capitare che quando questa rappresentatività si basa su presupposti non corretti i risultati e soprattutto le conclusioni che se ne deducono possono essere molto falsati. È il caso dei primi studi sul CIE. Vedremo più avanti come questo genere di errori abbia permesso di scoprire un fenomeno interessante ma abbia nascosto importanti elementi decisivi nell’applicazione pratica, rendendolo di fatto uno strumento inefficace.

Intanto vediamo per quali motivi, almeno in certi contesti. il CIE si manifesta.

Spiegazioni del CIE

Shea e Morgan e altri nel corso negli anni successivi hanno fornito diverse spiegazioni al fenomeno del CIE. Sono state formulate pricipalmente 3 ipotesi:

  1. L’ipotesi dell’elaborazione.
    Questa teoria ha a che fare con la presenza nella memoria di lavoro di uno o più stimoli. Quando le esercitazioni vengono proposte in modalità random più compiti (task) saranno presenti contemporaneamente nella memoria di lavoro, rendendo così possibili dei processamenti delle relazioni tra loro. Ci saranno dei processi di elaborazione non solo intra-task, che sono gli unici possibili nelle esercitazioni blocked, ma anche dei processi inter-task.
  2. L’ipotesi della ricostruzione del piano d’azione.
    L’idea è che gli allenameenti random richiedano un maggior sforzo per l’elaborazione del piano d’azione, perché tra una ripetizione e l’altra dello stssso compito la stessa viene dimenticata svolgendo gli altri compiti. Così per ogni tentativo c’è bisogno di ricostruire completamente il piano d’azione dove invece per la pratica blocked il piano è sempre attivo nella memoria di lavoro. Questa maggiore attività di processamento porterebbe ai vantaggi nell’apprendimento della modalità random rispetto alla blocked.
  3. L’ipotesi dell’inibizione retroattiva
    Mentre le altre ipotesi si basavano sui vantaggi relativi della pratica random rispetto alla blocked, questa ipotesi si basa al contrario su uno svantaggio della pratica blocked rispetto alla random. L’idea è che le esercitazioni blocked possano avere un maggiore effetto di inibizione retroattiva rispetto alle esercitazioni random. Cioè in caso di esercitazioni nello schema AAA, BBB e CCC l’apprendimento dei compiti A e B viene influenzato negativamente dai blocchi successivi, rispettivamente B e C.

Laboratorio contro campo: cosa influenza la CIE

Nella pratica di palestra però è abbastanza evidente che le cose non tornino. Del resto se devi insegnare a dare una martellata su un chiodo per unire 2 assi a nessuno verrebbe in mente di battere una martellata, poi fare una corsetta e poi battere un’altra martellata! La variazione sembra intuitivamente favorire la confusione, mentre concentrarsi su una cosa alla volta sembra davvero favorire migliori risultati. Per gli allenatori, che si basano esclusivamente sulla realtà osservata sul campo, il CIE per quanto affascinante non è mai stato del tutto convincente!

E così se da una parte esperimenti di laboratorio continuavano a confermare l’efficacia del CIE nella pratica dell’allenamento gli effetti della pratica random erano in realtà molto contrastanti.

Il problema si è risolto solo quando l’evoluzione tecnologica ha permesso di effettuare misurazioni e quindi sperimentazioni sul campo: si è infatti subito notata una forte discrepanza tra esperimenti sul campo ed esperimenti in laboratorio.

In laboratorio il CIE continuava ad apparire in forte correlazione con le esercitazioni random, mentre sul campo questa differenza in ritenzione e transfer non si misurava, anzi talvolta si misurava il contrario.

Si è potuto così comprendere che sì esiste il CIE, ma che non si verifica sempre. Esso è influenzato dall’interazione delle capacità del soggetto con le caratteristiche del compito (Merbah e Meulemans 2011). La comparsa di CIE si è vista essere in relazione con:

  1. Semplicità del compito
    Compiti semplici, cioè che prevedano la coordinazione di poche articolazioni (per esempio schiacciare un pulsante, buttare giù pezzi di domino) presentano alto CIE, compiti complessi, che viceversa comportano la coordinazione di più articolazioni (una qualsiasi azione di un gioco sportivo come basket o pallavolo) raramente presentano CIE
  2. Quantità e durata del compito
    Compiti che durano più tempo o che sono comunque costituiti da un grande ammontare di azioni motorie hanno minor impatto sul CIE
  3. Livello di esperienza del soggetto nel compito
    Soggetti più esperti in un dato compito beneficiano di alto CIE, viceversa per i soggetti non esperti
  4. Stile di apprendimento
    Soggetti impulsivi presentano maggiore CIE rispetto a soggetti riflessivi
  5. Ansia e autoefficacia
    Soggetti ansiosi e con basso livello di sensazione di autoefficacia presentano basso CIE

Conclusioni

Nell’insieme sembra che la complessità del compito sia determinante per la comparsa del CIE. Sia in senso assoluto, sia in senso relativo. Cioè il CIE è assente quando il compito è troppo complesso in assoluto per richiesta di attenzione, di memoria, o di domanda motoria o quando tali richieste sono troppo elevate rispetto all’esperienza del soggetto o anche solo alla sua percezione della difficoltà del compito. Sembra infatti che in questi ultimi casi l’allenamento random sovraccarichi il sistema del discente e annulli tutti i potenziali benefici.

Per un approfondimento sulla variabilità delle esercitazioni puoi leggere anche questo articolo in cui si parla della “Challenge Point Hypotesis”

Bibliografia

Shea, John B., e Robyn L. Morgan. 1979. «Contextual Interference Effects on the Acquisition, Retention, and Transfer of a Motor Skill.» Journal of Experimental Psychology: Human Learning & Memory 5(2):179–87. doi: 10.1037/0278-7393.5.2.179.

Merbah, Sarah, e Thierry Meulemans. 2011. «Learning a Motor Skill: Effects of Blocked Versus Random Practice a Review». Psychologica Belgica 51(1):15. doi: 10.5334/pb-51-1-15.

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