Molte volte sento dire da varie tipologie di persone che gravitano nel mondo del volley, come genitori e dirigenti frasi tipo: “si vede che hanno un buon allenatore, si muovono tutte uguali”. Anche gli allenatori a volte sembrano avvalorare la bontà di questa idea tentando di rendere gli atleti dei piccoli robot che eseguono i gesti tecnici nella stessa identica maniera, e si vantano quando ci riescono.

Il pensiero che “produrre” (anche su questa parola “produrre” ci sarebbe parecchio da dire) giocatori o giocatrici tutti uguali sia un indice di qualità del lavoro, rimane ancora molto diffuso.

Questo tipo di ragionamento denota una non conoscenza delle dinamiche dell’apprendimento e dei problemi relativi al controllo motorio.

Essendo infatti tutte le persone diverse, con diversi rapporti antropometrici, diversa struttura articolare, diversa forza relativa alle varie articolazioni e infine diversa storia di apprendimento è realmente difficile che le soluzioni motorie che ogni specifico compito tecnico richiede vengano risolte nello stesso modo.
Nello svolgimento di qualsiasi tecnica le traiettorie disegnate dal movimento di ogni articolazione saranno subordinate a:

  • forza relativa dei muscoli che agiscono su tali articolazioni
  • inerzie e i momenti di forza sviluppati nel corso dell’intero movimento che saranno proporzionali oltre che alla stessa forza relativa anche ai parametri antropometrici
  • storia sportiva o comunque di apprendimento motorio che ogni essere umano porta con sé facilitando tendenze che si ripercuotono progressivamente su tutti gli apprendimenti successivi.

La tecnica non è quella rigida, prescrittiva sequenza di movimenti che alcune tradizionali metodiche di insegnamento ci possono aver fatto pensare. E’ ancora abbastanza diffuso il paradigma secondo il quale esista un movimento ideale, perfetto, uno schema di movimento con una cinematica ottimale basato sulla performance dei migliori della disciplina. Questo approccio assume questo particolare schema ideale deve essere imposto a tutti gli atleti che vogliono ottenere il medesimo risultato. In realtà Interessanti ricerche già a cavallo del nuovo millennio hanno dimostrato che questo schema ideale non esiste. Per esempio Brisson e Alain (1996)

hanno dimostrato che è molto difficile identificare dei pattern di movimento comuni per un certo compito

mentre Ball, Best, e Wrigley (2003) hanno fatto vedere che persino in sport in cui la tecnica sembra estremamente standardizzata come il tiro a a segno dove il movimento non sembra presentare grandi variabilità a uno sguardo superficiale, la tecnica non è sempre la stessa nemmeno per lo stesso atleta nei vari tentativi, oltre che per i vari atleti.

Esistono infatti grandi variazioni nel movimento sia a livello inter-individuale che intra-individuale

Se quindi non è possibile identificare una tecnica ideale né tra i vari atleti né addirittura per lo stesso atleta che risolve in maniera differente il problema motorio in diversi momenti (in diversi contesti), risulta quindi abbastanza difficile pensare che il miglioramento dei nostri atleti debba avvenire eseguendo alla perfezione dei rigidi modelli predefiniti.
Quali altre strade si presentano?

L’approccio ecologico e l’idea di auto-organizzazione possono fornire delle interessanti risposte.


Bibliografia

1. Brisson, Therese A., e Claude Alain. «Should Common Optimal Movement Patterns Be Identified as the Criterion to Be Achieved?» Journal of Motor Behavior 28, n. 3 (settembre 1996): 211–23. https://doi.org/10.1080/00222895.1996.9941746. 2. Ball, Kevin, Russell Best, e Tim Wrigley. «Body Sway, Aim Point Fluctuation and Performance in Rifle Shooters: Inter- and Intra-Individual Analysis». Journal of Sports Sciences 21, n. 7 (gennaio 2003): 559–66. https://doi.org/10.1080/0264041031000101881.

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